Eccoci giunti ad un
nuovo post. Proseguiamo l’analisi degli ingredienti che vanno a comporre i cibi
che assumiamo ogni giorno con l’alimentazione. In questo post andremo a
prendere in considerazione gli edulcoranti. Che cosa sono? Gli edulcoranti sono
tutte quelle sostanze con potere dolcificante, impiegate in varie preparazioni
alimentari e, più in generale, per ogni elemento dolcificato che si assume
attraverso la via orale. Gli edulcoranti si dividono in due tipologie:
edulcoranti naturali ed edulcoranti prodotti in laboratorio.
Alcuni esempi di quelli
naturali ottenuti senza bisogno di alcun processo di lavorazione chimica sono: miele, melassa, succo di mela, succo d’uva, gli
sciroppi di riso e di mais, il malto d’orzo, poi lo sciroppo d’acero, sciroppo
di sorgo, succo d’agave, stevioside ecc.
Esempi di edulcoranti
naturali estratti con un processo di lavorazione chimica, invece, sono: saccarosio (ovvero il comune zucchero da
cucina), fruttosio, glucosio, lattosio,
sorbitolo, xilitolo, mannitolo, glicina ecc.
Infine ecco alcuni
esempi di edulcoranti sintetici prodotti in laboratorio: acesulfame K (ovvero acesulfame potassico), aspartame, saccarina, sucralosio, isomalto, ciclamato, maltitolo ecc.
In questa prima parte
andremo ad analizzare alcuni edulcoranti naturali. Quelli sintetici li tratterò
in seguito nel prossimo post.
Il
saccarosio
Come ben possiamo
notare dallo schema scritto poc’anzi l’edulcorante più comunemente utilizzato
in cucina è il saccarosio che siamo abituati a chiamare semplicemente zucchero.
Tuttavia il termine “zucchero” si riferisce ad un qualsiasi glucide (zucchero) esistente in natura. Il saccarosio è uno zucchero disaccaride. Esso, cioè, si forma dall’unione di due zuccheri monosaccaridi: il glucosio ed il fruttosio. Lo si trova comunemente in natura ed è estratto dalla barbabietola da zucchero e dalla canna da zucchero. Il suo utilizzo è molto antico, secondo solo all’uso del miele. Le prime fonti che riportano l’attività di estrazione dello zucchero per dolcificare risalirebbe al XIII secolo a. C. utilizzando le canne da zucchero. La scoperta della presenza di saccarosio nelle barbabietole (poi dette da zucchero) risale al 1747. La scoperta fu del chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf. Alcuni decenni dopo il suo allievo Franz Karl Achard ideò un processo chimico idoneo per effettuare industrialmente l’estrazione. E’ a lui che si deve il primo zuccherificio industriale, sorto in Slesia nel 1802.
Tuttavia il termine “zucchero” si riferisce ad un qualsiasi glucide (zucchero) esistente in natura. Il saccarosio è uno zucchero disaccaride. Esso, cioè, si forma dall’unione di due zuccheri monosaccaridi: il glucosio ed il fruttosio. Lo si trova comunemente in natura ed è estratto dalla barbabietola da zucchero e dalla canna da zucchero. Il suo utilizzo è molto antico, secondo solo all’uso del miele. Le prime fonti che riportano l’attività di estrazione dello zucchero per dolcificare risalirebbe al XIII secolo a. C. utilizzando le canne da zucchero. La scoperta della presenza di saccarosio nelle barbabietole (poi dette da zucchero) risale al 1747. La scoperta fu del chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf. Alcuni decenni dopo il suo allievo Franz Karl Achard ideò un processo chimico idoneo per effettuare industrialmente l’estrazione. E’ a lui che si deve il primo zuccherificio industriale, sorto in Slesia nel 1802.
Il saccarosio apporta
circa 4 chilocalorie per grammo. In Italia se ne consumano 24 kg pro capite
ogni anno, in Europa in generale la media sale a 32 kg. I principali produttori
di zucchero da barbabietola sono l’Europa, gli Stati Uniti e la Russia. Quelli
della produzione di zucchero da canna, invece, sono Brasile, India, Cina,
Messico, Australia e Thailandia.
L’Organizzazione
Mondiale della Sanità considera un eccessivo consumo di zucchero tra le cause
principali di iperglicemia, obesità, diabete, danni cardiovascolari e carie dentaria.
Si consiglia, quindi, di non aggiungere zucchero a tutti quei cibi che già
contengono altre tipologie di zuccheri e carboidrati (per esempio pane, pasta,
riso, frutta, latte ecc.).
Il
miele
Il miele è il
dolcificante più antico. Per millenni è stato l’unico elemento zuccherino
disponibile. Si trovano tracce di arnie costruite dall’uomo per la raccolta risalenti
al VI millennio a.C.
Il miele, come tutti sappiamo, è prodotto dalle api per mezzo di sostanze zuccherine che questo insetto raccoglie in natura. Le principali di queste sostanze sono il nettare prodotto dai fiori di talune piante e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi.
Il miele, come tutti sappiamo, è prodotto dalle api per mezzo di sostanze zuccherine che questo insetto raccoglie in natura. Le principali di queste sostanze sono il nettare prodotto dai fiori di talune piante e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi.
Il miele è composto
principalmente da glucosio, fruttosio, acqua e polline. Dei due monosaccaridi presenti
in questo nettare, ovvero glucosio e fruttosio, quello in quantità maggiore è il secondo. Il miele contiene inoltre
vitamine ed oligoelementi che sono assenti nel normale zucchero da cucina
(saccarosio). Il glucosio è uno zucchero monosaccaride ed è il composto organico
più diffuso in natura. E’, inoltre, l’unico zucchero che il nostro organismo
riesce ad utilizzare in maniera diretta senza dover prima fare ulteriori
trasformazioni della sostanza. Pertanto se assunto direttamente viene reso
disponibile al nostro corpo in brevissimo tempo per poter essere utilizzato. Il
saccarosio (zucchero da cucina), per esempio, per poter avere effetto deve prima
venir scisso nei due monosaccaridi uniti tra loro che lo compongono, ovvero
proprio il glucosio e poi il fruttosio. Il fruttosio a sua volta viene trasformato
in glucosio dal fegato in modo piuttosto lento. Pertanto il miele, che è composto
principalmente da glucosio e fruttosio liberi (non legati tra loro), è in grado
sia di dare apporto energetico nell’immediato col primo sia in maniera diluita
nel tempo col secondo. Per questo motivo il miele è molto consigliato anche agli
sportivi per poter avere una giusta distribuzione di zuccheri a disposizione
durante tutto l’arco temporale dell’attività fisica.
Il
succo d’agave
Veniamo ad un altro
dolcificante naturale molto impiegato al giorno d’oggi soprattutto in ambiente
vegano: il succo d’agave, detto anche sciroppo d’agave. Uno degli aspetti più
pubblicizzati è la sua naturalità certificata dal fatto che sarebbe stato
impiegato fin dall’antichità da popolazioni indigene centro e sudamericane.
Esso è prodotto a partire dalla linfa dell’agave blu una pianta proveniente dal Messico e dal sud America. Si estrae dalle parti solide della pianta la linfa filtrandola dallo scarto e ottenendo un liquido, il quale viene in seguito riscaldato causando un’idrolisi termica che trasforma i carboidrati in zuccheri. Alla fine si ottiene il succo d’agave che viene filtrato e concentrato in forma di sciroppo. Esso risulta essere composto da percentuali variabili di una forma complessa di fruttosio detta inulina e da glucosio. Il succo d’agave si presenta meno denso del miele, ha una colorazione più chiara di quest’ultimo e si scioglie facilmente anche in bevande fredde. Ha un potere dolcificante superiore del 25% rispetto lo zucchero, pertanto potrebbe essere talvolta consigliato a tutte quelle persone che soffrono di problemi di diabete.
Esso è prodotto a partire dalla linfa dell’agave blu una pianta proveniente dal Messico e dal sud America. Si estrae dalle parti solide della pianta la linfa filtrandola dallo scarto e ottenendo un liquido, il quale viene in seguito riscaldato causando un’idrolisi termica che trasforma i carboidrati in zuccheri. Alla fine si ottiene il succo d’agave che viene filtrato e concentrato in forma di sciroppo. Esso risulta essere composto da percentuali variabili di una forma complessa di fruttosio detta inulina e da glucosio. Il succo d’agave si presenta meno denso del miele, ha una colorazione più chiara di quest’ultimo e si scioglie facilmente anche in bevande fredde. Ha un potere dolcificante superiore del 25% rispetto lo zucchero, pertanto potrebbe essere talvolta consigliato a tutte quelle persone che soffrono di problemi di diabete.
Esistono, però, dei
dubbi su questo prodotto. Soprattutto per quanto riguarda la concentrazione di
fruttosio che si può trovare al suo interno. Questa concentrazione è particolarmente
elevata in molti succhi d’agave che si trovano in commercio. Un’assunzione
eccessiva di fruttosio è legata ad un maggiore rischio di colesterolo elevato e
di malattie cardiache. C’è anche un rischio di sviluppare resistenza
all’insulina e la cosa è un grosso problema in modo particolare per i
diabetici. Quindi potrebbero esistere degli effetti esattamente opposti a
quelli per cui potrebbe essere spesso consigliato l’utilizzo di succo d’agave.
Bisogna fare attenzione.
In più pare che la
tanto decantata naturalità di questo prodotto non corrisponda proprio al vero,
perché l’agave commercializzato pare essere assai differente dall’agave usato
anticamente dagli indigeni del centro e sud America. L’agave tradizionale ha un
sapore molto intenso che renderebbe difficile vendere il prodotto, in
particolare risulterebbe troppo piccante. Pertanto il prodotto subisce
ulteriori lavorazioni atte a migliorare il nettare per assecondare i gusti dei
consumatori abituali di dolcificanti. Pochissimi produttori vendono agave
tradizionale.
Lo
sciroppo d’acero
Lo sciroppo d’acero,
similmente al succo d’agave, si ottiene riscaldando linfa. Solo che in questo
caso la linfa viene raccolta dalla pianta dell’acero da zucchero e dell’acero
nero. Lo sciroppo d’acero ha un alto contenuto in sali minerali e un 67% circa di
zucchero che è quasi esclusivamente saccarosio. Pertanto a parità di dose ha un
potere calorico nettamente inferiore al tradizionale zucchero da cucina
(saccarosio puro), ma ha un potere dolcificante più basso. E’ un prodotto
tipico del Canada, paese che è di gran lunga il principale produttore mondiale,
e del nord degli Stati Uniti d’America. Durante il lungo inverno di queste
regioni del mondo gli aceri accumulano amido, il quale viene trasformato in
zuccheri semplici da appositi enzimi durante la primavera quando le temperature
iniziano ad aumentare. Lo sciroppo d’acero viene ottenuto concentrando la
linfa, dalla quale si elimina circa il 66% di acqua per mezzo dell’evaporazione
per bollitura. A seconda della velocità di evaporazione e della temperatura di
ebollizione si otterrà uno sciroppo più o meno scuro, che avrà un sapore più o
meno caramellato. Lo sciroppo d’acero non è consigliabile ai diabetici,
pertanto non costituisce una valida alternativa allo zucchero tradizionale.
Il
malto d’orzo
Diamo ora un’occhiata
al malto d’orzo. L’edulcorante così definito è uno sciroppo denso tipo il miele
che si ottiene dalla cottura in acqua della farina dei semi maltati dell’orzo.
Il malto è il chicco di un cereale che ha subito germinazione. Solitamente la produzione a livello industriale avviene nelle malterie. I chicchi del cereale vengono fatti macerare in appositi tini dove, a seguito dell’assorbimento di acqua, rigonfiano e germinano dopo un periodo di riposo facendo spuntare delle piccole radici. Successivamente il malto viene fatto passare in camere di essicazione, nelle quali si abbatte drasticamente l’umidità e si blocca il processo di germinazione. Dopo il malto passa nei silos dove rimane in attesa prima di essere lavorato. Il malto trova largo impiego nella produzione di bevande alcoliche perché esso (e non il cereale da cui deriva) può essere fermentato dai lieviti e trasformato in alcol. Per svariati utilizzi alimentari si ottiene anche, come già detto, uno sciroppo più o meno denso tramite la cottura in acqua della farina del malto del cereale. La cottura avvia un processo di scissione, che determina la trasformazione dell'amido contenuto in zuccheri più semplici e più dolci. La scissione viene generata da alcuni enzimi (amilasi) presenti naturalmente nel cereale.
Il malto è il chicco di un cereale che ha subito germinazione. Solitamente la produzione a livello industriale avviene nelle malterie. I chicchi del cereale vengono fatti macerare in appositi tini dove, a seguito dell’assorbimento di acqua, rigonfiano e germinano dopo un periodo di riposo facendo spuntare delle piccole radici. Successivamente il malto viene fatto passare in camere di essicazione, nelle quali si abbatte drasticamente l’umidità e si blocca il processo di germinazione. Dopo il malto passa nei silos dove rimane in attesa prima di essere lavorato. Il malto trova largo impiego nella produzione di bevande alcoliche perché esso (e non il cereale da cui deriva) può essere fermentato dai lieviti e trasformato in alcol. Per svariati utilizzi alimentari si ottiene anche, come già detto, uno sciroppo più o meno denso tramite la cottura in acqua della farina del malto del cereale. La cottura avvia un processo di scissione, che determina la trasformazione dell'amido contenuto in zuccheri più semplici e più dolci. La scissione viene generata da alcuni enzimi (amilasi) presenti naturalmente nel cereale.
Il discorso appena
fatto vale anche per gli sciroppi di riso, di mais, di grano ecc. Anch’essi
derivano dal malto (ovvero chicchi germinati) dei rispettivi cereali, tuttavia
assumono il nome di sciroppi perché al contrario dell’orzo essi singolarmente
non hanno tutti gli enzimi necessari alla trasformazione dell’amido durante la
cottura. Pertanto questi enzimi gli devono essere aggiunti a parte.
Col semplice termine
“malto” senza un’ulteriore specificazione si intende il malto d’orzo. Per il
malto di tutti gli altri cereali solitamente si aggiunge il nome del cereale
stesso. Il malto d’orzo contiene maltosio, che è un glucide disaccaride come il
saccarosio (zucchero comune da cucina). Il maltosio, però, è formato da due
molecole di glucosio, mentre il saccarosio, invece, è formato da glucosio e
fruttosio. Nell’organismo il maltosio per essere utilizzato deve venire
trasformato. Vengono scisse le sue due molecole per poter adoperare il glucosio
singolarmente il quale, come ricordo, è l’unico zucchero utilizzabile
direttamente dal corpo umano senza bisogno di ulteriori modificazioni della
sostanza. Il malto contiene inoltre una percentuale di acqua, alcuni
oligoelementi e vitamine. A parità di peso con lo zucchero da cucina ha un
apporto calorico leggermente inferiore. Tuttavia su quantità piccole quali sono
generalmente quelle utilizzate la differenza è trascurabile.
Lo
stevioside
In ultimo guardiamo lo
stevioside. Esso è un composto presente nelle foglie della pianta Stevia rebaudiana, ed è il responsabile del sapore dolce delle foglie. Per
questo motivo la pianta è utilizzata come edulcorante dalle popolazioni
autoctone centro e sudamericane. Il suo potere dolcificante è circa 300 volte
quello del saccarosio, ed è impiegato in Giappone come dolcificante per le
bibite dietetiche. Infatti lo stevioside ha zero calorie e indice glicemico
nullo.
Però a questi effetti benefici si accompagnano delle controversie e dei dubbi non di poco conto. Lo stevioside, al pari di un suo metabolita (lo steviolo), è un agente mutageno riconosciuto. Gli agenti mutageni sono sostanze che causano delle mutazioni o delle alterazioni a carico del materiale genetico. Pertanto sovente gli agenti mutageni sono elementi in grado di causare il cancro. Per quanto riguarda lo stevioside, però, non è chiaro se possa essere cancerogeno. Infatti alcuni studi compiuti dall'università di Berkeley non sembrerebbero mostrare questa tendenza della sostanza. Nelle popolazioni che fanno uso di foglie di stevia e derivati, tra cui il Giappone, non esisterebbe una marcata evidenza statistica di tumori riconducibili allo steviolo.
Però a questi effetti benefici si accompagnano delle controversie e dei dubbi non di poco conto. Lo stevioside, al pari di un suo metabolita (lo steviolo), è un agente mutageno riconosciuto. Gli agenti mutageni sono sostanze che causano delle mutazioni o delle alterazioni a carico del materiale genetico. Pertanto sovente gli agenti mutageni sono elementi in grado di causare il cancro. Per quanto riguarda lo stevioside, però, non è chiaro se possa essere cancerogeno. Infatti alcuni studi compiuti dall'università di Berkeley non sembrerebbero mostrare questa tendenza della sostanza. Nelle popolazioni che fanno uso di foglie di stevia e derivati, tra cui il Giappone, non esisterebbe una marcata evidenza statistica di tumori riconducibili allo steviolo.
Nel 2003, uno studio belga
ha mostrato come lo stevioside somministrato ai maiali venisse completamente
convertito in steviolo, ma che quest'ultimo non veniva poi assorbito, nemmeno
se trasformato in una forma più facilmente rilevabile. (Geuns
JM, Augustijns P, Mols R, Buyse JG, Driessen B., "Metabolism of stevioside
in pigs and intestinal absorption characteristics of stevioside, rebaudioside A
and steviol.", Food Chem Toxicol., novembre 2003, n.41 vol. 11 pag.
1599-607.)
Ad ogni modo negli USA
è proibito l’utilizzo dello stevioside nell’uso industriale per la produzione
di alimenti. In Europa, invece, l’uso è divenuto consentito a partire dal
dicembre 2011 dopo che l’Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare a seguito di uno studio ha espresso
opinione favorevole indicando una dose massima ammissibile.
Per quanto riguarda gli
edulcoranti estratti con un processo di lavorazione chimica essi sono per lo
più zuccheri facenti parte di elementi naturali. Abbiamo già citato il comune
zucchero da cucina, ovvero il saccarosio, il quale si trova nelle canne e nelle
barbabietole da zucchero dal quale deve essere estratto chimicamente.
Il
glucosio
Poi c’è il glucosio che
come già detto è lo zucchero più diffuso in natura. E’ parte costituente di
diversi elementi ed è l’unico zucchero utilizzabile direttamente dal corpo
umano. Pertanto tutti gli altri zuccheri devono essere ricondotti tramite
scissione o tramite trasformazione al glucosio per venire essere utilizzati.
Esiste un edulcorante utilizzabile per preparazioni alimentari sotto forma di
sciroppo detto “sciroppo di glucosio”. Esso però non è mai costituito da
glucosio puro, bensì contiene anche fruttosio e maltosio perché viene ottenuto
dalla scissione enzimatica dall’amido di mais. Questo sciroppo è molto
utilizzato industrialmente nella preparazione alimentare, infatti lo si può
trovare spesso presente nella lista ingredienti di vari prodotti.
Il
fruttosio
Il già descritto
fruttosio si trova all’interno della maggior parte dei frutti e dei relativi
succhi. Inoltre è presente in concentrazioni più basse all’interno di diversi
vegetali. In natura si presenta solido o in soluzione liquida. E’ lo zucchero
più dolce tra tutti i tipi conosciuti. Commercialmente si trova il fruttosio
sotto forma granulare simil saccarosio da utilizzare al posto di quest’ultimo.
Esso è ottenuto chimicamente convertendo il glucosio presente nell’amido di
mais. L’utilizzo del fruttosio dà dei piccoli benefici rispetto l’utilizzo del
saccarosio, perché è più dolce con un potere calorico leggermente inferiore a
parità di peso. Inoltre ha un indice glicemico più basso. Però bisogna stare
attenti a non assumerne troppo. Elevate quantità di questo zucchero possono
causare colesterolo alto e resistenza all’insulina con conseguenti gravi
problemi per i diabetici. Il fruttosio
in alte concentrazioni genera delle difficoltà a livello epatico, poiché esso
viene metabolizzato prevalentemente dal fegato. Se ne consiglia pertanto un
utilizzo moderato.
(“The Role of Peroxisome
Proliferator-activated Receptor Gamma Coactivator 1 beta (PGC-1β) in the
Pathogenesis of Fructose-Induced Insulin Resistance” , Gerald Shulman et al)
Bisogna fare attenzione
a tutti quei dolcificanti che contengono alte concentrazioni di questo
zucchero.
Il
lattosio
Il lattosio è uno
zucchero disaccaride presente all’interno del latte dei mammiferi di cui
costituisce circa il 5%. Pertanto questo zucchero lo si trova anche in tutti i
derivati del latte animale utilizzato per preparazioni alimentari (yogurt,
formaggi e prodotti a base di siero di latte). Anch’esso può essere estratto
chimicamente ed utilizzato in diversi ambiti non solo alimentari.
Gli impieghi principali
del lattosio sono l’uso in certi prodotti da forno o l’utilizzo per la
preparazione di prodotti farmaceutici.
Esiste una sindrome di mal
digestione di questo zucchero che si definisce intolleranza al lattosio. Le
persone che ne soffrono hanno un deficit di produzione dell’enzima lattasi, il quale è l’enzima
predisposto alla digestione appunto del lattosio. Pertanto questi individui
devono evitare l’assunzione di questo zucchero o integrare l’assunzione in via
provvisoria con specifici sostituti enzimatici formulati con lattasi.
Lo
xilitolo
L’ultimo che vediamo è
lo xilitolo. Molti lo conosceranno per averlo già sentito nelle pubblicità dei
chewing gum. Lo xilitolo è detto anche lo “zucchero del legno”. Viene estratto
da betulle, fragole, lampone, prugna e anche dal grano. Venne scoperto sul
finire del XIX secolo e divenne popolare in Europa come dolcificante adatto ai
diabetici perché non avrebbe impatto sui livelli di insulina. Infatti lo
xilitolo ha circa il 40% di calorie in meno del saccarosio, un potere
dolcificante simile e un indice glicemico pari alla metà di quest’ultimo.
Diversi studi attesterebbero inoltre che l’utilizzo di xilitolo apporta dei
benefici ai denti, ragion per cui viene inserito all’interno di chewing gum.
(Mäkinen KK, Bennett CA, Hujoel PP, et al. “Xylitol chewing gums and caries rates: a 40-month cohort study”, J Dent Res 1995;74:1904–13)
(Mäkinen KK, Bennett CA, Hujoel PP, et al. “Xylitol chewing gums and caries rates: a 40-month cohort study”, J Dent Res 1995;74:1904–13)
Alcuni aspetti negativi
sono, invece, la possibilità di avere effetti lassativi se assunti in dosi
medie. Non si conoscono proprietà tossiche sull’uomo di questo zucchero. E’
risaputa la sua pericolosità per i cani, invece, se assunto in grande quantità.
Oggi, usando legno duro
o mais come fonti, il più grande produttore mondiale è la Danimarca insieme ad
altri fornitori dalla Cina.
In Europa lo xilitolo è
classificato come additivo alimentare, e viene identificato dalla sigla E967.
Concludiamo qui questa ormai lunga trattazione degli edulcoranti naturali. Ovviamente l’elenco degli
edulcoranti indicato non ha la pretesa di essere esaustivo. Si
è semplicemente cercato di indicare alcuni tra i dolcificanti naturali più conosciuti ed
utilizzati.
Vi rimando al prossimo
post per la trattazione degli edulcoranti chimici di sintesi.